«Il mio desiderio
per ognuna di voi
è che
abbiate “danza” dentro di voi
e una parte di me a farvi compagnia».
Cara Ceci,
non sapevamo come iniziare questo pensiero e allora abbiamo deciso, ancora una volta, di affidarci a te e alle tue parole per rompere il ghiaccio. Anche perché, diciamolo, ci hai insegnato a salire in palcoscenico, ma non a stare davanti a una platea di questo tipo.
Siamo sicure che ti saresti arrabbiata molto se avessi saputo che abbiamo scelto in autonomia di scriverti due righe – quando accadeva era sempre un «non consultatevi, decido io!» – ma saresti orgogliosa del fatto che non solo eravamo tutte d’accordo nel farlo, ma addirittura siamo arrivate puntuali, con i fiocchi delle scarpe ben nascosti, i capelli in ordine, anche se, te lo confessiamo, non abbiamo ancora capito di chi fossero quelle cuccarini trovate alla Monash alla fine di una lunga giornata di prove.
Troppo riduttivo definirti solamente «maestra di danza»; raccogliendo i pensieri di tutte, abbiamo compreso che eri per noi anche una mamma-giovane, una sorella maggiore un po’ dittatrice, ma soprattutto l’Amica grande a cui chiedere un consiglio o cui confessare anche i pensieri più intimi.
Nelle ore che abbiamo passato insieme non c’era solo la danza, ma c’era l’affetto, il bene, la confidenza, il segreto, la fiducia, c’erano la confusione ed il silenzio, i minuti che non passavano mai o gli anni che invece volavano.
È con te che abbiamo imparato ad affrontare la vita come si affrontano lunghe giornate di prove. Ci hai insegnato che non basta avere talento se manca la costanza e la determinazione, senza mai prendersi troppo sul serio perché divertirsi e amare quel che si fa, è già un buon risultato se si dà importanza anche ai dettagli che rendono l’insieme omogeneo e perfetto.
Di partacce, badate bene, ne abbiamo prese tante; leggende narrano che qualcuno sia anche scappato senza lasciare traccia di sé perché non riusciva a decifrare quegli algoritmi matematici di cose tipo: «adesso ripartiamo dall’8 della frase precedente», oppure «avete portato tutti il vestito del saggio 1999 che vi avevo chiesto, vero?». E c’era sempre qualcuna di noi che, distrattamente, aveva perso qualcosa nel buco nero dell’universo, o che provava a fare appello a qualche Santo in Paradiso per avere un’illuminazione sulla coreografia. Questo, per dirvi, che le partacce non ci piacevano molto, ma il più delle volte erano scatenate da situazioni talmente ironiche e surreali che un po’, c’è da ammetterlo, ci siamo proprio meritate un suo «cretine!».
Il fatto è che ognuna di noi entrava in quella sala di danza perché aveva veramente voglia di farlo, perché lì dentro non si ballava e basta, ma si creava come un corto circuito tra quelle mura e il mondo. Amavamo talmente tanto il piccolo universo che Lei aveva costruito per noi, che iniziavamo a preoccuparci se non ci proponeva di ballare nella piazza di turno, sul prato dove un tempo c’erano i forni crematori di Ebensee o alla comunità di Damanur con Mammut alla ricerca di Donnola. Lei aveva capito che era importante ballare su qualsiasi palcoscenico per poter davvero dominare la scena con disinvoltura e sicurezza, rappresentando la bellezza ancor prima di una sterile coreografia.
Nessuna di noi oggi ha un contratto come ballerina professionista, ma ciascuna di noi, con Lei, è arrivata ad essere la migliore che potesse diventare. E questo, al di là della tecnica, è l’insegnamento più grande che ci ha lasciato: la vera vittoria non è diventare perfetti in assoluto, l’assoluta perfezione è diversa di persona in persona e il segreto sta nell’individuare le nostre qualità e lasciarle emergere, senza chiedere a noi stessi di essere qualcos’altro.
Eh sì, cara ceci, Grazie te lo dobbiamo proprio dire; grazie perché nessuna delle nostre amiche sa farsi un pocchio in tre minuti senza guardarsi allo specchio, perché ci hai fatto apprezzare la bellezza e non le cose futili di cui è pieno il mondo; grazie per averci trasmesso grazia e compostezza, perché ci hai insegnato a dare forma a un’idea, a trasformare la passione in dedizione, a non rinunciare mai per una sconfitta, a dare importanza a una critica e meno alle lodi.
Nessun palcoscenico al mondo sarà mai bello come quello in cui c’eri te, lì a guardarci.
Sarà dura lasciarti andare, faticoso come un dévéloppe in 16 conti ma… “avremmo sempre ‘danza’ dentro di noi e una parte di te a farci compagnia”.
E allora manteniamo viva la tua tradizione:
“Tutto andrà per il meglio: Fiori…gatto…ballerine…..MERDA!”